srijeda, 21. studenoga 2012.

SALGARI, Emilio - "Misterija crne džungle" ("I misteri della jungla nera")


1. L'assassinio

Il Gange, questo famoso fiume celebrato dagli indiani antichi e moderni, le cui acque son reputate sacre da quei popoli, dopo d’aver solcato le nevose montagne dell’Himalaya e le ricche provincie del Sirinagar, di Delhi, di Odhe, di Bahare, di Bengala, a duecentoventi miglia dal mare dividesi in due bracci, formando un delta gigantesco, intricato, meraviglioso e forse unico.

La imponente massa delle acque si divide e suddivide in una moltitudine di fiumicelli, di canali e di canaletti che frastagliano in tutte le guise possibili l’immensa estensione di terre strette fra l’Hugly, il vero Gange, ed il golfo del Bengala. Di qui una infinità d’isole, d’isolotti, di banchi, i quali, verso il mare, ricevono il nome di Sunderbunds.

Nulla di più desolante, di più strano e di più spaventevole che la vista di queste Sunderbunds. Non città, non villaggi, non capanne, non un rifugio qualsiasi; dal sud al nord, dall’est all’ovest, non scorgete che immense piantagioni di bambù spinosi, stretti gli uni contro gli altri, le cui alte cime ondeggiano ai soffi del vento, appestato dalle esalazioni insopportabili di migliaia e migliaia di corpi umani che imputridiscono nelle avvelenate acque dei canali.

È raro se scorgete un banian torreggiare al disopra di quelle gigantesche canne, ancor più raro se v’accade di scorgere un gruppo di manghieri, di giacchieri o di nagassi sorgere fra i pantani, o se vi giunge all’olfatto il soave profumo del gelsomino, dello sciambaga o del mussenda, che spuntano timidamente fra quel caos di vegetali.

Di giorno, un silenzio gigantesco, funebre, che incute terrore ai più audaci, regna sovrano: di notte invece, è un frastuono orribile di urla, di ruggiti, di sibili e di fischi, che gela il sangue.

Dite al bengalese di porre piede nelle Sunderbunds ed egli si rifiuterà; promettetegli cento, duecento, cinquecento rupie, e mai smuoverete la incrollabile sua decisione.

Dite al molango che vive nelle Sunderbunds, sfidando il cholera e la peste, le febbri ed il veleno di quell’aria appestata, di entrare in quelle jungle ed al pari del bengalese si rifiuterà. Il bengalese ed il molango non hanno torto; inoltrarsi in quelle jungle, è andare incontro alla morte.

Infatti è là, fra quegli ammassi di spine e di bambù, fra quei pantani e quelle acque gialle, che si celano le tigri spiando il passaggio dei canotti e persino dei navigli, per scagliarsi sul ponte e strappare il barcaiuolo od il marinaio che ardisce mostrarsi; è là che nuotano e spiano la preda orridi e giganteschi coccodrilli, sempre avidi di carne umana, è là che vaga il formidabile rinoceronte a cui tutto fa ombra e lo irrita alla pazzia; ed è là che vivono e muoiono le numerose varietà dei serpenti indiani, fra i quali il rubdira mandali il cui morso fa sudar sangue ed il pitone che stritola fra le sue spire un bue; ed è là infine che talvolta si cela il thug indiano, aspettando ansiosamente l’arrivo d’un uomo qualsiasi per strangolarlo ed offrire la spenta vita alla sua terribile divinità!

Nondimeno la sera del 16 maggio del 1855, un fuoco gigantesco ardeva nelle Sunderbunds meridionali, e precisamente a un tre o quattrocento passi dalle tre bocche del Mangal, fangoso fiume che staccasi dal Gange e che scaricasi nel golfo del Bengala.

Quel chiarore, che spiccava vivamente sul fondo oscuro del cielo, con effetto fantastico, illuminava una vasta e solida capanna di bambù, ai piedi della quale dormiva, avvolto in un gran dootèe di chites stampato un indiano d’atletica statura, le cui membra sviluppatissime e muscolose, dinotavano una forza non comune ed un’agilità di quadrumane.

Era un bel tipo di bengalese, sui trent’anni, di tinta giallastra ed estremamente lucida, unta di recente con olio di cocco, aveva bei lineamenti labbra piene senz’essere grosse e che lasciavano intravvedere un’ammirabile dentatura; naso ben tornito, fronte alta, screziata di linee di cenere, segno particolare dei settari di Siva. Tutto l’insieme esprimeva una energia rara ed un coraggio straordinario, di cui mancano generalmente i suoi compatriotti.

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