četvrtak, 22. studenoga 2012.
SALGARI, Emilio - "Tigrovi iz Mompracema" ("Le tigri di Mompracem")
Capitolo I - I pirati di Mompracem
La notte del 20 dicembre 1849 un uragano violentissimo imperversava sopra Mompracem, isola selvaggia, di fama sinistra, covo di formidabili pirati, situata nel mare della Malesia, a poche centinaia di miglia dalle coste occidentali del Borneo.
Pel cielo, spinte da un vento irresistibile, correvano come cavalli sbrigliati, e mescolandosi confusamente, nere masse di vapori, le quali, di quando in quando, lasciavano cadere sulle cupe foreste dell’isola furiosi acquazzoni; sul mare, pure sollevato dal vento, s’urtavano disordinatamente e s’infrangevano furiosamente enormi ondate, confondendo i loro muggiti cogli scoppi ora brevi e secchi ed ora interminabili delle folgori.
Né dalle capanne allineate in fondo alla baia dell’isola, né sulle fortificazioni che le difendevano, né sui numerosi navigli ancorati al di là delle scogliere, né sotto i boschi, né sulla tumultuosa superficie del mare, si scorgeva alcun lume; chi però, venendo da oriente, avesse guardato in alto, avrebbe scorto sulla cima di un’altissima rupe, tagliata a picco sul mare, brillare due punti luminosi, due finestre vivamente illuminate.
Chi mai vegliava in quell’ora e con simile bufera, nell’isola dei sanguinari pirati?
Tra un labirinto di trincee sfondate, di terrapieni cadenti, di stecconati divelti, di gabbioni sventrati, presso i quali scorgevansi ancora armi infrante e ossa umane, una vasta e solida capanna s’innalzava, adorna sulla cima di una grande bandiera rossa, con nel mezzo una testa di tigre.
Una stanza di quell’abitazione è illuminata, le pareti sono coperte di pesanti tessuti rossi, di velluti e di broccati di gran pregio, ma qua e là sgualciti, strappati e macchiati, e il pavimento scompare sotto un alto strato di tappeti di Persia, sfolgoranti d’oro, ma anche questi lacerati e imbrattati.
Nel mezzo sta un tavolo d’ebano, intarsiato di madreperla e adorno di fregi d’argento, carico di bottiglie e di bicchieri del più raro cristallo; negli angoli si rizzano grandi scaffali in parte rovinati, zeppi di vasi riboccanti di braccialetti d’oro, di orecchini, di anelli, di medaglioni, di preziosi arredi sacri, contorti o schiacciati, di perle provenienti senza dubbio dalle famose peschiere di Ceylan, di smeraldi, di rubini e di diamanti che scintillano come tanti soli, sotto i riflessi di una lampada dorata sospesa al soffitto.
In un canto sta un divano turco colle frange qua e là strappate; in un altro un armonium di ebano colla tastiera sfregiata e all’ingiro, in una confusione indescrivibile, stanno sparsi tappeti arrotolati, splendide vesti, quadri dovuti forse a celebri pennelli, lampade rovesciate, bottiglie ritte o capovolte, bicchieri interi o infranti e poi carabine indiane rabescate, tromboni di Spagna, sciabole, scimitarre, accette, pugnali, pistole.
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